Il Municipium

Dall'Età Imperiale alla decadenza. 

Forse maggiori dati sono disponibili per il periodo imperiale che segna la monumentalizzazione dell'impianto urbano, con la costruzione, in alcuni settori della città, di domus patrizie.   Valentia è, in questo periodo, un centro vitale ed attivo, polo di riferimento di un vasto territorio intensamente sfruttato, caratterizzato da numerosi insediamenti in villa. Un ruolo sicuramente importante ha continuato ad avere il porto alla marina, che diventa veicolo per il commercio e determina il fiorire di vasti complessi insediativi, che specializzano e differenziano la loro produttività anche in funzione dell'esportazione a breve e forse anche a più ampio raggio. Vale pena di ricordare che il porto di Valentia costituisce l'unica possibilità di approdo lungo la costa Tirrenica, a sud di Napoli, quasi tappa obbligata per le comunicazioni con la Sicilia.   D'altra parte la città, ubicata com'è lungo le maggiori direttrici viarie, coagula e smista i prodotti del territorio anche per via terrestre. Se ne deduce per Vibo un quadro di città ricca e prosperosa, la cui aristocrazia - che spesso assurge alla carriera senatoria e al consolato, ed è collegata con importanti famiglie romane - può addirittura assumersi gli oneri connessi alle magistrature urbane.   Una conferma tangibile della presenza di un ricco e potente ceto nobiliare è costituita dai resti rinvenuti al quartiere S. Aloe, dove compaiono abitazioni prestigiose, molto curate, se non addirittura sfarzose, nei resti musivi e nei particolari costruttivi ricercati (intonaci, crustae marmoree, terme ecc.). L'unico edificio pubblico rinvenuto, invece, è il teatro, purtroppo poco indagato e di incerta datazione ubicato alle spalle della chiesa del Rosario.

Ai manufatti prima descritti, si deve aggiungere un numero consistente di statue marmoree. Tra queste, oltre a tre statue di togati, sono presenti: un ritratto di ottimo livello tecnico di Agrippa tipo Gabii, proveniente da S. Aloe, databile ad età augustea-adrianea, con stilemi tipici di botteghe artigiane di Roma; un raro esempio di erma panneggiata, prodotta, probabilmente nei primi decenni del I sec. d. C.; un torso pertinente ad una statua di Antinoo, di età adrianea. Esse sono tutte di un certo prestigio artistico e testimoniano la presenza, in città, di un ceto abbiente che alle consistenti possibilità economiche, aggiungeva un elevato livello culturale.

Il quartiere di S. Aloe    Il settore urbano più esteso è stato rinvenuto al quartiere di S. Aloe, dove sono state saggiate una serie di domus (di una è stato rinvenuto il peristilio), quasi tutte pavimentate con mosaici policromi.    E' inoltre presente  un complesso termale, articolato in frigidarium, calidarium e palestra, forse connesso ad un'abitazione a carattere pubblico.   La cronologia di tutte le aree scavate è compresa tra il II sec a. C. e il V d. C., mentre in un settore è stata identificata anche una fase altomedievale.   Il periodo di vita più rappresentativo del quartiere romano sembra essere quello compreso tra II e III sec. d. C., epoca in cui si datano anche due dei mosaici pavimentali rinvenuti ed i resti dell'edificio termale. Il mosaico più antico, che risale al II sec. d. C. è decorato con un emblema centrale figurato con Nereide nuda che si lascia trasportare da un ippocampo in un mare pieno di delfini stilizzati; un velo aperto a conchiglia incornicia in alto le figure. Tre fasce concentriche si dipartono dal centro verso l'esterno,  decorate,  la prima, con anatre e trampoliere in ambiente lacustre, la successiva con motivi geometrici in bianco e nero, e l'ultima con tralci vegetali ed uccelli che si dipartono da kantharoi centrali.   Il mosaico più recente è relativo ad un atrio del complesso termale ed è decorato con pesci, pavoni e le quattro stagioni, inquadrati in un festone che fuoriesce da kantharoi angolari e si dispone ad ottagono intorno alle figure.   Sia i mosaici - che nella tecnica e  motivi compositivi hanno puntuali confronti con il mondo africano - che  le classi ceramiche (una grande quantità da stoviglie da mensa e cucina, in sigillata africana) testimoniano stretti contatti commerciali tra la città e l'Africa. Del resto, l'importazione di ceramica dall'Africa è un fenomeno che in età romana coinvolge tutta la regione, tant'è che in varie località si diffonde l'uso di imitarne la vernice e le forme; un arresto nelle importazioni dall'Africa, almeno per la situazione documentata all'interno della città, si coglie per il VI sec. d. C.   Dal punto di vista insediativo, le domus di S. Aloe testimoniano, per questa zona, una lunga continuità abitativa, che invece in alcuni quartieri della Terravecchiavia Milite Ignoto si era arrestata al II sec. d. C.   Interessante ai fini della ricostruzione topografica è il rinvenimento di quelle che sono sembrate mura di cinta, probabilmente relative alla fase repubblicana della città: esse sarebbero ubicate quasi a ridosso e ad Est rispetto al quartiere di S. Aloe e questo indicherebbe un restringimento della città romana rispetto a quella greca. Potrebbe confortare quest'ipotesi il fatto che le mura di cinta rinvenute in località Trappeto Vecchio, secondo gli ultimi dati di scavo, non sembrano essere state utilizzate in età romana.

L'età tardoantica e altomedievale (IV-VII sec. d. C.) è documentata, all'interno della città, solo dal rinvenimento di due tombe alla Terravecchia, in via Milite Ignoto, in alcuni frammenti sporadici di ceramica cosiddetta a bande rosse, ritrovati in più punti della città, e di un piccolo nucleo di frammenti relativi a contenitori del tipo detto Keay LII, che di recente sono stati ricondotti ad una produzione locale.

Il problema del centro in età tardo antica, va considerato in connessione con il sorgere della sede episcopale di Vibo, che, per alcuni, potrebbe coincidere con l'attuale abitato di Vibo Marina, cosa di cui per ora non si ha nessuna evidenza archeologica.

Le indagini della fine degli anni ottanta hanno portato al rinvenimento, al di fuori del complesso urbano, in località Piscino, di un edificio di età bizantina, interpretabile come sepolcro monumentale tipo martyrion oppure come parte di un complesso ecclesiastico non meglio identificabile. I resti archeologici sono costituiti da un ambiente rettangolare con un atrio pavimentato in grossi mattoni. In una seconda fase l'ambiente originario è stato ristretto ed in esso è stato inserito un pavimento a mosaico. La decorazione di fondo è costituita da un motivo geometrico a coda di rondine, contornato da una doppia fascia, a treccia e a rombi. Al centro, dentro una tabula è l'iscrizione PAX IN/INTROI/TUTU[0], su tre righe. La cronologia delle strutture è stata fissata tra V e VI sec. d. C.; nel VII l'area è coperta da scarichi ceramici, segno del suo abbandono. Il tipo di materiali mobili rinvenuti negli scarichi, cioè grandi quantità di contenitori (spateia) di fabbrica africana, testimonia un fenomeno “commerciale direzionale” e ad ampio raggio, tra il sito di Piscino ed una zona specifica di produzione del Nord Africa. Questo dato contrasta con quello riscontrato all'interno delle mura di Valentia, dov'è quasi completamente assente la ceramica databile agli inizi del V sec. d. C. ed induce ad ipotizzare, in questo periodo, un fenomeno di ruralizzazione della città, simile a quello verificatosi nella vicina Campania.