Le Tonnare

Le Tonnare e la pesca del tonno

Non è del tutto chiara l'epoca in cui l'uomo ha modificato le tecniche di cattura del tonno da avvistamento e circuizione a trappola fissa lungo il percorso migratorio.   Spesso sono state praticate entrambi nella stessa epoca. Certo è che il sistema di cattura di tali prede ha creato un gruppo, una comunità che, nel processo di perfezionamento delle tecniche ha instaurato una relazione con il mare, prodotto culture ed economie tutt'altro che marginali, caratterizzando la storia dell'intero territorio vibonese.

costa

Tropea, Parghelia, Briatico, Bivona, Vibo Marina, Pizzo e Mezza Praja rappresentano tappe geografiche del tragitto migratorio dei tonni lungo il quale la storia legata all'attesa, cattura, trasformazione e commercializzazione di tali prede ha preso corpo. Questi centri costieri risultavano efficacemente inseriti, grazie ad un reticolato viario da riscoprire, a specifici ambiti territoriali collinari e montani dotati di abili artigiani ed votati alle produzione di sale, olio e ghiaccio (per la conservazione), canape, sparti, fibre vegetali (reti e cordami) e legno (pece, barche, attrezzi, galleggianti e botti).

Un reticolo virtuoso, fondato su un corretto uso delle risorse ambientali, in grado di produrre ricchezze per più di un millennio e che oggi rivela per intero le sua validità.

Le prime fonti documentali attestano la presenza di manufatti relativi alla pesca del tonno all'XI secolo, legandola ai possedimenti ed ai cespiti donati ad abbazie e vescovadi istituiti in Calabria da Ruggero il Normanno. Già con uno dei primi privilegi concessi dal Conte Ruggero all'Abbazia di Mileto compare l'area di Bivona, descritta nel 1081, “… cum portu suo, ac tunnaria, et omnibus pertinentiis” , che in seguito, nel 1101, verrà indicata “… cum Bibona et portu tunnaria et omnibus eorum pertinentiis” e nel 1139 “… tenuta di Bivona con il suo porto e la vicina tonnara donata dal conte Ruggero” . Una successiva pergamena abbaziale del 1181 risulta essere la più antica e dettagliata descrizione della tonnara in Bivona. In essa ricaviamo precise notizie in merito alla localizzazione del “palo” della tonnara, ovvero al diritto feudale dello specchio d'acqua in cui installare la “trappola di reti” e l'avvio dei primi conflitti sulla proprietà dei manufatti ad essa legati, visto che la tonnara viene addirittura divisa in due: quella di pertinenza del vescovo e quella di pertinenza dell'abate.

Con la successiva fondazione di Monteleone la controversia si estende anche ai mastrogiurati della città. Tra l'XI ed il XIV secolo sono numerose le memorie contro i governanti del nuovo centro urbano. La stessa Regina Giovanna ordina nel 1365 “ … su richiesta di Giovanni abate di Mileto, al capitano di Monte Leone che al detto abate e al suo monastero siano restituite lo jus della tonnara di Bivona ed i suoi diritti propri del monastero secondo la donazione del conte Ruggero, la conferma apostolica e la propria ”.

Tra i manoscritti riportati in fascio compare una sorprendente proibizione del 1326, emanata probabilmente per prevenire incidenti avvenuti in mattanze precedenti, nella quale Re Roberto stabiliva che in quell'anno a Bivona e nei luoghi vicini “nessuno potèa vendervi vino sino in tempo che era posta la tonnara. E pagò la pena uno chi l'avèa venduto” .

Dal XVI secolo in poi l'Abbazia cede la tonnara ai Pignatelli, nuovi duchi di Monteleone, con un fitto di 15 ducati annui ed una rendita di “un cantarto di tonno” . Con la gestione dei Pignatelli, proprietari di altre tonnare in Calabria ed in Sicilia, le fonti divengono più dettagliate: apprendiamo i nomi degli affittuari, dei Rais , i dati del pescato, informazioni sulla ciurma, ed i costi per riparare “rezze e libbani”. E' in questo secolo che compaiono le prime notizie delle tonnare di Parghelia ( Bordilà ), S. Irene e Briatico ( Rocchetta ) a sud e quelle di Santa Vennere e Pizzo ( delli Gurni ) a nord, rivelando come tale sistema di pesca andava via via estendendosi e specializzandosi, sia nella gestione che nella ricerca di nuovi mercati. Fin tutto il XVIII secolo la pesca del tonno si caratterizza come iniziativa imprenditoriale delle classi nobiliari (i De Silva y Mendoza, principi di Mileto, a Pizzo, Ettore Pignatelli, duca di Monteleone a Bivona, Bernardo Caracciolo, signore di Oppido a Briatico) attraverso le quali diversificare la fonte dei propri guadagni, in precedenza legate essenzialmente alla produzione agricola dei feudi.

Nei primi anni dell'800, durante il periodo napoleonico e la conseguente eversione della feudalità, le tonnare di Bivona e Pizzo vennero rilevate da due affaristi francesi, Pierre Majourel e Francoise Astrue (ai quali si debbono i primi contratti pubblici di assunzione dei tonnaroti) finchè a seguito di forti proteste, non vennero acquisite dai nobili locali Gagliardi e De Carolis. Pizzo diviene in quell'epoca il centro urbano che più si caratterizza per la cultura e le tradizioni legate alla pesca del tonno. I suoi pescatori faranno la spola tra una tonnara e l'altra del golfo vibonese e ad essi si uniranno, nei primi anni del ‘900, Rais e tonnaroti siciliani, producendo contaminazioni culturali di riti ed usanze, tecniche ed esperienze.