Percorso Virtuale

La continuità di vita sul sito, dai tempi della fondazione fino ai nostri giorni, ed i terribili terremoti che hanno distrutto la città più volte, sono due delle molteplici cause che spiegano la povertà di resti archeologici nell'ambito dell'area cittadina.

Il perimetro della città in epoca greca può essere efficacemente definito attraverso l'ubicazione delle sue necropoli, che sembrano essersi mantenute sulle stesse aree attraverso i secoli. (v. scheda "Le necropoli reggine")

Lungomare Falcomatà

Sul Lungomare Falcomatà , in prossimità del Museo Archeologico Nazionale, sono visibili due tombe a grandi parallelepipedi di arenaria (figg.5-6) che appartenevano alla necropoli greca del rione Santa Lucia e che furono scoperte, nel 1932, nell'area dell'attuale Museo. I primi resti di questa vasta necropoli vennero alla luce tra il 1883 e il 1886 sulla destra del torrente Santa Lucia; successivamente, si potè appurare che essa si estendeva fino all'area dell'attuale Museo, dal momento che, all'avvio dei lavori per la sua costruzione, ne venne alla luce un ampio settore, costituito da 111 tombe databili tra il III ed il II sec.a.C., di diversa tipologia e con corredi di varia importanza (figg.7-10) . Un gruppo di questi sepolcri è ancora oggi conservato in un vano ricavato sotto la via Romeo, accessibile dal cortile interno del Museo Archeologico Nazionale.

Un altro esempio di tomba di età ellenistica è quella visibile in via Tripepi . Scoperta nel 1957 (fig.11) , durante i lavori per il prolungamento della via, è una tomba a camera in ottimo stato di conservazione, simile a tante altre scoperte nelle necropoli settentrionali della città di Reggio. Tale tomba faceva parte del prolungamento della necropoli di S.Lucia-Terrazza, che si estendeva ad E anche verso loc. Borrace.

La tomba, del tipo a camera voltata (fig.12) , è realizzata con muratura di mattoni legati con calce, rivestiti da intonaco bianco (oggi scomparso) ed è databile al III-II sec.a.C. Il corredo funerario era costituito da unguentari, una pisside con coperchio, una ciotola e frammenti di uno strigile in bronzo appesi ad un anello. All'esterno della tomba furono rinvenuti sei piccoli capitelli policromi in terracotta (tipici delle necropoli reggine ed utilizzati per decorare i letti funebri) (fig.13) , appartenenti, con ogni probabilità, ad altre sepolture già distrutte.

Lungomare Falcomatà - Tomba Ellenistica

L'urbanistica della città greca non è nota nei dettagli ma ipotizzabile per grandi linee sulla base di quel che ne resta nell'area c.d. Griso Laboccetta e attraverso gli scavi di Piazza Italia. Dagli indizi raccolti si può presumere che avesse un impianto regolare (di tipo ippodameo) impostato su assi longitudinali paralleli alle mura greche del lungomare (orientati in senso N-S) tagliati ortogonalmente da altri più corti orientati in senso E-W. Il tutto avrebbe determinato isolati allungati in senso N-S.

Il circuito della cinta muraria di età greca si estendeva in località Trabocchetto (lato est) e lungo le attuali vie Collina degli Angeli e Vollaro (lato nord). ll percorso sul lato sud non è noto ma, probabilmente, seguiva il fianco destro della fiumara Calopinace. Ad ovest, la cinta muraria proseguiva lungo gli assi delle vie Vittorio Emanuele II e via Marina. (v. scheda "La cinta muraria dell'antica Rhegion")
Il tratto della cinta muraria orientale in loc. Collina degli Angeli fu messo in luce nel 1976, in corso a lavori edili (figg.14-15) . Realizzato interamente in mattoni crudi (di cm 40x40, realizzati con terra scura impastata con paglia e detriti ceramici e poi lasciata asciugare al sole), è lungo circa 15 metri, ha uno spessore di oltre 4 metri ed era impostato (a 100 m s.l.m.) lungo la cresta di una delle dorsali collinari che chiudono a ventaglio la città. Esso costituisce uno dei rari esempi dell'impiego di mattoni crudi in opere di grande mole nell'architettura magno-greca. Trova un confronto nel muro di cinta della città greca di Gela, in Sicilia, e può essere datato alla fine del V sec.a.C. Anche i resti delle mura in località Trabocchetto (fig.16) furono rinvenuti fortuitamente nel 1980, a seguito di lavori edilizi. Situati nel settore in cui la cinta raggiungeva la massima altitudine (114 m s.l.m.), dominavano l'area centrale della città e costituiscono la prosecuzione dei resti murari individuati, più ad nord, in loc. Collina degli Angeli. In questo tratto è documentata la sovrapposizione di due fasi successive di edificazione del muro: la prima (databile alla fine del V sec.a.C.) in mattoni crudi (fig.17) e la seconda (databile alla metà del IV sec.a.C.) ottenuta mediante il sezionamento della cortina muraria precedente, che venne parzialmente riutilizzata come riempimento di una doppia cortina di blocchi isodomi in arenaria (fig.18) . Si conservano, inoltre, i buchi di palo dell'impalcatura utilizzata per l'innalzamento del muro in blocchi e la fondazione di una torre quadrata in blocchi isodomi, appena sporgente dal muro di seconda fase. Gli scavi hanno documentato la presenza di fosse di spoglio della cortina in blocchi, praticate in età romana per reperire materiale da costruzione; si spiegherebbe così la mancanza del rivestimento in blocchi dell'estremità del muro sul lato nord-est. Anche qui, come nel tratto conservato in via Marina, alcuni dei blocchi in arenaria mostravano, al momento della scoperta, evidenti contrassegni di cava, successivamente cancellati dall'erosione.



Lungomare Falcomatà - Mura Greche

Le mura greche visibili sul Lungomare Falcomatà , appartenenti alla cinta muraria occidentale, risalgono alla metà del IV secolo a.C. (figg.19-20-20bis) Questo tratto presenta una doppia cortina, fiancheggiata, nel lato prospiciente la città, da una serie di pilastri, oggi nascosti sotto la via Vittorio Emanuele III. I due muri che formano la doppia cortina corrono paralleli tra loro ad una distanza di circa 4,50 metri e sono uniti, ad intervalli irregolari, da muri ortogonali che si legano alle cortine. Si vengono così a determinare degli spazi interni di forma rettangolare ricolmati da un riempimento di pietre e detriti. Le due cortine e i muri ortogonali sono edificati con blocchi di arenaria tenera, cavata probabilmente lungo la vallata del Calopinace, lunghi da m 1,20 a m 1,50 e larghi m 0,60, disposti a ricorsi alternati, per testa e per taglio (figg. 21-22) .
La porzione di cinta conservata corrisponde ai livelli di fondazione. La parte superiore della cortina non si è conservata in situ, però si hanno indizi fondati per ritenere che fosse realizzata in mattoni cotti, sulla base del ritrovamento di vari mattoni cotti con bollo TEICEON ("delle mura") e REGINWN ("dei reggini") che induce ad ipotizzare l'esistenza di fornaci che producevano appinto materiale per le mura di cinta.
Sui blocchi di arenaria che costituiscono le cortine sono visibili "grandi e bellissimi marchi di cava", come ebbe a scrivere Paolo Orsi già nel 1913. Tali segni sono incisi sia sulle facciate interne ed esterne delle cortine sia su quelle dei legamenti interni e dei pilastri; sono di varia forma: molti di essi riproducono il segno dell'ascia bipenne o lettere greche e la loro presenza è riconducibile ad un sistema di numerazione delle partite di blocchi che venivano inviate dalla cava al cantiere.

Negli ultimi decenni, interventi di scavo a seguito di lavori edili, hanno riportato alla luce anche porzioni dell'abitato di epoca greco-romana. Nel 1998, durante i lavori di sbancamento per la costruzione di un fabbricato in via Trabocchetto I , sono venuti in luce i resti di una abitazione di epoca ellenistica . Di essa sono oggi visibili un vano con angolo cottura, un altro ambiente parzialmente conservato e non meglio definibile e accenni di altri vani (fig.23) .



Il vano principale è di forma rettangolare, delimitato su tre lati da muri in pietre sbozzate e riempimento di pietrame minuto e terra e sul quarto lato da un muro in pietrame, tegole e mattoni. All'interno di questo ambiente sono venuti alla luce frammenti di ceramiche comuni e da fuoco, databili tra la fine del IV ed il III sec.a.C., oltre ad un focolare in tegole e mattoni su cui era ancora posata una pentola (figg.24-25) . L'altro ambiente, conservatosi per una piccola parte, sfrutta come delimitazione meridionale il muro settentrionale del primo vano. In un terzo vano, di cui resta solo l'angolo orientale, sono venuti alla luce frammenti di due statuette fittili di Kore con porcellino. La casa dovette essere abbandonata bruscamente in occasione di un evento sismico o franoso.

Un settore di abitato greco-romano fu scoperto, ed è oggi visibile, in via Cimino . Nel 1992, in occasione della costruzione di una palazzina al numero civico 20 di questa via, fu effettuata un'indagine di scavo stratigrafico che ha riportato alla luce contesti insediativi urbani databili tra la seconda metà del VI sec.a.C. ed età tardoantica. La sovrapposizione di edifici di varie epoche ha comportato la conservazione solo parziale delle strutture più antiche (fig.26) .

Di particolare interesse è stata la scoperta di un pozzo rivestito in ciottoli a secco (seconda metà VI a.C.), che è stato scavato fino ad una profondità di m 3,80 dal piano di calpestio, e la presenza di strutture murarie di VI sec.a.C. che presentano un riutilizzo nel IV sec.a.C.

L'ultima presenza antica in ordine cronologico è costituita da un ambiente di età tardoantica (IV sec.d.C.), pavimentato in cocciopesto, di cui resta la soglia di accesso in pietra e resti delle pareti intonacate (figg. 27-28). La presenza, in questo sito, di una notevole quantità di frammenti ceramici (figg. 29-32) cronologicamente riferibili alla prima fase di vita della colonia di Rhegion (fine VIII-VII sec.a.C.) ha permesso di rideterminare l'estensione dell'abitato urbano in età arcaica. E' verosimile perciò che l'area del Duomo, Piazza Carmine, Piazza Mezzacapo e l'area della Villa Comunale facessero parte dell'abitato più antico, essendo aree peraltro prossime a Punta Calamizzi, dove si ritiene che potesse essere situato anche l'antico porto della città.

Gli esigui resti del teatro greco vennero scoperti in via XXIV Maggio nel 1920 (fig.33) in seguito a lavori edili. L'allora Soprintendente alle antichità, Paolo Orsi, riferì della scoperta datando i resti alla metà del IV-inizi del III sec.a.C. (all'inizio cioè dell'adozione del tipo di cavea ricurva) e attribuendoli ad un teatro o ad un odeon ; nella sua ricostruzione planimetrica (fig.34-34bis) , la cavea risulterebbe suddivisa in sette cunei da sei scalette intermedie e cingerebbe un'orchestra di 20 m di diametro.



L'attribuzione di tali resti ad un teatro è forse la più attendibile, essendo questa tipologia di edificio pubblico presente in quasi tutte le città greche e non essendone priva la città di Reggio, visto che risulta nota, per via epigrafica, l'esistenza di un collegio di attori o mimi operante nella città attorno al 212 a.C.
I resti oggi visibili dell'edificio (fig.35) consistono in due gradini ricurvi suddivisi in due settori o cunei da una scaletta a cinque gradini. Le gradinate, realizzate in blocchi di arenaria tenera locale, erano incassate sul fianco del declivio collinare. L'orchestra non presenta tracce di pavimentazione nè è stato rinvenuto materiale architettonico decorativo, ad eccezione di tre piccoli capitelli fittili ionici, che potevano ornare il fronte scenico e che furono datati dall'Orsi all'inizio del III sec.a.C.
Sempre Orsi interpretò i resti dell'edificio come appartenenti ad un odeon soprattutto per la scarsa profondità delle fondazioni (circa 80 cm) che non permetteva di sostenere il peso di una cavea a molti gradoni. Data l'incompletezza, la scarsa consunzione dei gradini e la scarsità dei resti materiali connessi alle sue parti sovrastrutturali, è probabile che l'edificio non sia mai stato portato a termine.

L'unica area sacra dell'antica Rhegion sicuramente individuata è il cosiddetto santuario Griso-Laboccetta (così chiamato dal nome degli antichi proprietari del terreno); esso era anticamente compreso nello spazio corrispondente a quattro odierni isolati tra le vie D.Tripepi, Aschenez, Palamolla e 24 Maggio. Un altro settore di quest'area sacra, dal lato della via Aschenez, è stato denominato Taraschi-Barilla, anch'esso così definito dal nome degli antichi proprietari. In questa vasta zona, caratterizzata morfologicamente da un pronunciato declivio collinare, è stato individuato il più importante santuario della Reggio greca (figg.36-37) . Dal 1883 in poi, l'area fu oggetto di scavi a più riprese, fino alle ultime indagini che hanno avuto luogo tra il 1985 e il 1991.




Sebbene la gran mole di materiali qui rinvenuti appartengano per la maggior parte alla classe degli ex voto e rimandino perciò ad un santuario, gli scavi non hanno consentito di recuperare strutture murarie attribuibili con certezza ad edifici sacri.

Le fasi d'uso più antiche, sinora attestate dai materiali votivi, permettono di risalire fino alla seconda metà del VII sec.a.C. mentre le numerose terrecotte architettoniche policrome (fig. 38) consentono di ipotizzare la presenza, nel sito, di più edifici sacri databili tra il VI e il IV sec.a.C. Sul margine della via Torrione si è parzialmente conservata la fondazione di un sacello (piccolo edificio sacro) databile, dall'esame della sua tecnica edilizia, al VI sec.a.C. e che presenta tracce di una ristrutturazione in blocchi squadrati di arenaria risalente al IV sec.a.C. La maggior parte degli ex voto rinvenuti nell'area hanno comunque permesso di attribuire questo santuario al culto della dea Demetra e della figlia Kore, caratterizzato da una pluralità di aspetti, e da pratiche rituali strettamente connesse ai vari cicli della vita femminile (giovinezza/maturità, fanciulla/sposa, vita/morte, ecc.). (v. scheda "Culti e miti nell'antica Reggio")

Una delle caratteristiche principali dell'antica Rhegion era la sua ricchezza di acque che si esplicò, in epoca romana, nella costruzione di un gran numero di edifici termali pubblici e privati.

Il settore di terme conservato sul lungomare di Reggio Calabria (figg.39-40) , considerate le sue dimensioni, faceva con ogni probabilità parte di un edificio privato. Questi resti presentano più fasi edilizie e, per lungo tempo, furono coperti da un torrione della cinta muraria spagnola (il Bastione di San Matteo), che ne garantì la parziale conservazione. Delle terme oggi sono visibili: una vasca ellittica per bagni caldi (figg.41-42) preceduta da una serie di ambienti riscaldati ( tepidarium e calidarium ), una vasca quadrata per bagni freddi ed un piccolo spogliatoio semicircolare pavimentato a mosaico in bianco e nero (figg. 43-44) .



Il mosaico, datato al II-III sec.d.C., è di stile geometrico, con tessere bianche di calcare e tessere nere in pietra lavica, di provenienza siciliana o eoliana. Un piccolo tratto della cornice presenta anche tessere (di restauro) di colore grigio. La decorazione bicroma vera e propria si limita alla parte centrale del pavimento ed è riquadrata da una cornice rettangolare nera a sua volta circondata da una larga bordura bianca. Il motivo decorativo centrale è costituito da una composizione di file di grandi esagoni allungati, uniti per la base, che danno origine, intersecandosi, a file di piccoli rombi, uniti per gli angoli ottusi, tracciati in nero su fondo bianco. Durante lo scavo di questo settore di terme, si sono recuperati anche alcuni frammenti di intonaci parietali dipinti con motivi marini (fig. 45).

Le indagini di scavo archeologico in Piazza Italia (fig. 46) , avviate nel febbraio del 2000 e protratte sino al 2005, hanno permesso di portare alla luce uno spaccato della stratificazione del centro storico reggino da età greca al XIX secolo. L'area ad E è caratterizzata dalla presenza di un tratto di un grande asse stradale (fig.47) , avente direzione N-S, attestato, attraverso una sovrapposizione di livelli, almeno a partire dall'età normanna fino alla ricostruzione urbana dei primi anni del XIX secolo (e che potrebbe essere identificato con la via Mesa o Strada Maestra).



In corso di scavo, è stato possibile esplorare e documentare le fasi insediative appartenenti alla città di XII-XIII secolo, interessata da grandi fosse di spoglio praticate per l'asportazione di ampi tratti dei setti murari. Per questa età sono stati identificati alcuni vani disposti ed allineati ad ovest del predetto asse stradale (lato mare), che traggono origine da una serie di lunghi muri perpendicolari all'asse stradale stesso, suddivisi da setti murari divisori più corti, paralleli alla strada, ed ottenuti col rialzamento di piani di calpestio più antichi mediante colmate terrose. A loro volta i muri sono costruiti sulle creste dei muri più antichi.

Tale quartiere, organizzato su tre assi murari disposti in direzione E-W, è caratterizzato dalla presenza di attività artigianali relative alla lavorazione di metalli (prevalentemente ferro, in minor misura bronzo), concentrate tutte negli ambienti attigui alla strada. Il complesso potrebbe, dunque, corrispondere ad un borgo con botteghe artigianali, esterno al circuito fortificato del castrum (castello) ed attraversato da un asse stradale che per secoli ha costituito e costituirà la spina dorsale dell'abitato (potrebbe trattarsi del cardo maximus dell'abitato romano orientato in direzione N-S, ma tale ipotesi è del tutto prematura allo stato delle indagini). Il complesso dei vani appartiene ad un medesimo isolato e rispecchia l'impianto ad assi ortogonali ereditato dall'impianto urbano preesistente nello stesso sito (come hanno dimostrato i resti di età romana ivi scoperti). Solo sul margine NW dell'area indagata è presente un muro che corre in direzione obliqua ai precedenti. L'orientamento di questo muro, che costituisce il fianco NW di uno stretto vicolo a fondo cieco, fa comprendere che in tale settore si sia dovuto rispettare l'andamento delle curve di livello.
E' probabile che i vani retrostanti rispetto alla strada avessero funzione residenziale, come testimonierebbe la grande quantità di ceramiche da mensa e da cucina rinvenute in stato frammentario (figg.48-49) .

L'approfondimento dello scavo ha, poi, messo in luce la fase insediativa relativa al XI-XII secolo. In questo periodo è riconoscibile una organizzazione urbanistica che, pur rispettando le stesse direttrici di massima (gli assi murari sono per la maggior parte sottostanti a quelli più recenti, con minime differenze), se ne differenzia per la destinazione funzionale: ad ovest della strada sono stati messi in luce vani d'abitazione (un tempo coperti) e piccoli cortili quadrati scoperti, questi ultimi con piani di calpestio grossolani ed irregolari, dotati di strutture per la raccolta dell'acqua piovana (cisterne) e pozzi (figg. 50, 51, 52, 53).


Si tratta verosimilmente di piccole abitazioni private disposte a schiera lungo la strada, che si concludono oltre il limite di scavo.
Da una di queste, al di sopra di un pavimento in terra battuta, proviene una moneta in oro di età normanna (un tarì databile alla fine dell'XI-inizi XII sec. e con legenda in caratteri arabi) (fig.54) . I materiali mobili rinvenuti in questa fase comprendono un vasto assortimento di ceramiche, da tavola e di cucina, un vasto campionario di monete e piccoli oggetti in avorio, finemente lavorati con cerchietti concentrici (fig. 55)
La frequenza dei pozzi e delle cisterne, in numero di otto per lo spazio di circa 240 mq, chiarisce la relativa piccolezza delle unità abitative che sembrano avere una destinazione esclusivamente residenziale e di cui i cortili scoperti costituiscono parte integrante.

La prosecuzione, in profondità, dello scavo ha permesso di individuare la fase di età romana, caratterizzata da vari ambienti che presentano lo stesso allineamento dei muri rispetto alle fasi posteriori ma con una diversa destinazione. Uno di questi vani conserva ancora l'originaria pavimentazione in cocciopesto.

Infine, si sono raggiunti i livelli di età greca, sia ellenistica che arcaica. Mentre per l'età ellenistica gli orientamenti dei muri sono conformi a quelli successivi, in quella arcaica se ne discostano notevolmente. Per quest'ultima epoca, è degna di segnalazione la scoperta di una porzione di fondazione di struttura muraria (fig. 56) di rilevante spessore (circa 1,20 m).

Nel 1990, in occasione di lavori di livellamento del suolo condotti lungo il fianco meridionale della Chiesa di S.Giorgio Intra , vennero alla luce i resti della Chiesa di S.Giovanni "extra muros Rhegii ", risalente al XII secolo. L'intervento di scavo ha dato la possibilità di rimettere in luce uno spaccato della stratificazione del centro storico reggino nel corso di otto secoli, cioè dall'età normanna in poi (fig.57).



La Chiesa di S.Giovanni sorse nel XII secolo in stretto rapporto con il cenobio femminile dell'ordine benedettino intitolato a S.Giovanni d'Ocaliva o ex Caliva . Anche quando questa istituzione monastica scomparve, probabilmente in seguito all'ubicazione della Giudecca in questo stesso sito, l'edificio ecclesiastico continuò a sopravvivere. In età aragonese, la chiesa di S.Giovanni fu inclusa all'interno della cinta muraria urbana e il suo ingresso, orientato ad ovest, probabilmente prospettava su uno slargo ubicato all'ingresso della porta urbica occidentale. La Chiesa abbaziale di S.Giovanni risulta orientata ad est ed ha pianta basilicale, trinavata e triabsidata. Doveva avere una larghezza di circa 11 metri ed una lunghezza all'incirca del doppio (figg.58-59) .

Il presbiterio era sopraelevato di circa 1 metro sul piano delle navate e ad esso si accedeva per mezzo di una gradinata posta in corrispondenza della navata centrale. Sotto il presbiterio era ricavata una bassa cripta, nel pavimento della quale è visibile l'incasso di una sepoltura monosoma. Sul fianco e nel corpo dell'edificio chiesastico medievale insistono strutture murarie più tarde. Sul suo fianco settentrionale, esternamente, è stata rinvenuta una fossa comune con numerose inumazioni sovrapposte, attribuibile ad un evento catastrofico improvviso (forse il sisma del 1783). Tale sepolcreto risulta tagliato dalle fondazioni di un edificio ottocentesco, probabilmente l'Orfanatrofio Provinciale, che doveva occupare proprio il sito dell'attuale Chiesa di S.Giorgio Intra.